#ESC2025 – Se il cuore si ferma nello spazio: la rivoluzione della rianimazione in assenza di gravità
L’esplorazione spaziale sta entrando in una nuova era, con missioni sempre più lunghe e l’avvento del turismo spaziale. Ma cosa accade se un astronauta subisce un arresto cardiaco mentre fluttua nello spazio? Una ricerca rivoluzionaria presentata al Congresso della Società Europea di Cardiologia 2025 ha testato le tecniche di rianimazione cardiopolmonare (CPR) in condizioni di microgravità, rivelando che i metodi attualmente raccomandati dalle agenzie spaziali potrebbero non essere sufficienti per salvare una vita.
Il problema: quando la gravità non c’è più
Eseguire la rianimazione cardiopolmonare sulla Terra si basa su un principio fondamentale: il peso del soccorritore che preme sul torace del paziente. In microgravità, quella condizione di apparente assenza di peso che caratterizza l’ambiente spaziale, sia il soccorritore che il paziente fluttuano liberamente, rendendo estremamente difficile generare la pressione necessaria per compressioni toraciche efficaci.
Il protocollo di emergenza attuale della NASA per la Stazione Spaziale Internazionale raccomanda il “metodo della verticale”, dove il soccorritore esegue una sorta di verticale sul torace del paziente, usando le gambe per fare pressione contro la parete della navicella spaziale. Ma questa tecnica è davvero efficace?
Un laboratorio volante per testare la vita e la morte
Nathan Reynette del Dipartimento di Cardiologia dell’Università di Lorraine – CHRU de Nancy ha guidato un team di ricercatori in un esperimento tanto audace quanto necessario. Utilizzando l’A310 Air Zero G del Centre National d’Etudes Spatiales (l’agenzia spaziale francese), l’unico “laboratorio volante” di questo tipo in Europa, i ricercatori hanno ricreato accuratamente le condizioni di microgravità.
Durante voli parabolici speciali, l’aereo modificato entra in fase di caduta libera per 22 secondi per ogni parabola, simulando perfettamente l’assenza di peso che gli astronauti sperimentano nello spazio. Con circa 30 parabole per volo e tre voli complessivi, il team ha potuto testare diverse tecniche di rianimazione su un manichino di addestramento ad alta fedeltà.
La scoperta che potrebbe salvare vite nello spazio
I risultati sono stati chiari e sorprendenti. Le linee guida internazionali per la rianimazione, come quelle del Consiglio Europeo di Rianimazione, stabiliscono che le compressioni toraciche efficaci devono raggiungere una profondità tra 50 e 60 millimetri per mantenere il flusso sanguigno al cervello durante un arresto cardiaco.
Il team ha testato tre tipi di dispositivi automatici per compressioni toraciche: un dispositivo meccanico a pistone standard, un dispositivo a banda di compressione e un dispositivo a pistone di piccole dimensioni. I risultati sono stati rivelatori:
- Il dispositivo meccanico a pistone standard ha raggiunto una profondità mediana di compressione di 53,0 mm, rientrando negli standard di efficacia
- Gli altri due dispositivi automatici hanno raggiunto solo 29 mm di profondità
- Il metodo manuale della verticale attualmente raccomandato ha ottenuto solo 34,5 mm
Trent’anni di ricerca finalmente ripagati
“Per oltre 30 anni, i ricercatori hanno cercato metodi alternativi come il metodo della verticale, il metodo dell’abbraccio inverso e il metodo Evetts Russomano”, spiega Reynette. “Fino ad ora, nonostante numerosi tentativi, nessuno dei metodi proposti era riuscito a raggiungere gli standard di profondità necessari per compressioni toraciche efficaci.”
La scoperta rappresenta un punto di svolta: per la prima volta, è stato identificato un metodo che soddisfa gli standard internazionali per la rianimazione cardiopolmonare in condizioni di microgravità.
Il dilemma spaziale: efficacia contro praticità
Tuttavia, l’implementazione di questa scoperta nello spazio reale presenta sfide significative. “Spetterà a ogni agenzia spaziale decidere se includere dispositivi automatici di compressione toracica nel loro kit medico di emergenza”, osserva Reynette. “Sappiamo che hanno altre considerazioni oltre all’efficacia, come i vincoli di peso e spazio.”
Le missioni spaziali operano con limitazioni estreme di peso e volume, dove ogni chilogrammo e ogni centimetro cubo devono essere giustificati. L’arresto cardiaco, pur essendo un evento ad alto rischio che potrebbe anche terminare una missione spaziale, rimane per ora relativamente improbabile.
Il profilo del rischio spaziale
La maggior parte degli astronauti sono individui giovani, sani e fisicamente in forma che subiscono un monitoraggio medico intensivo, inclusa la scansione per malattie cardiache croniche, prima di andare nello spazio. Tuttavia, il panorama sta cambiando rapidamente.
“Missioni spaziali di maggiore durata in futuro e il turismo spaziale potrebbero aumentare i rischi di un’emergenza medica”, avverte Reynette. Con SpaceX, Blue Origin e altre compagnie private che pianificano missioni civili sempre più frequenti, e con la NASA che progetta missioni verso Marte che dureranno anni, la necessità di protocolli medici efficaci diventa sempre più critica.
Lezioni spaziali per la Terra
La ricerca spaziale spesso fornisce insegnamenti applicabili anche sulla Terra. I dispositivi automatici di compressione toracica sono già utilizzati dai medici terrestri in ambienti ristretti come elicotteri di emergenza, o dove è necessaria una rianimazione prolungata per più di 40 minuti in casi di arresto cardiaco refrattario.
“Questa ricerca evidenzia ancora una volta l’utilità dei dispositivi automatici di compressione toracica per eseguire la rianimazione in ambienti difficili”, conclude Reynette. “La medicina spaziale spesso fornisce lezioni trasferibili per le procedure di emergenza in ambienti isolati sulla Terra, dove anche lo spazio e l’esperienza clinica sono limitati.”
Nuove frontiere per la medicina d’emergenza
Le implicazioni di questa ricerca si estendono ben oltre lo spazio. Ulteriori ricerche potrebbero esplorare se i dispositivi automatici di compressione toracica possano rivelarsi utili per eseguire la rianimazione in altri ambienti estremi come sottomarini, basi artiche, o durante spedizioni in luoghi remoti dove le condizioni rendono difficile la rianimazione manuale tradizionale.
Il futuro della medicina spaziale
Mentre l’umanità si prepara per un futuro di esplorazione spaziale più intensa, studi come questo diventano fondamentali per garantire che possiamo portare con noi non solo la tecnologia per raggiungere altri mondi, ma anche quella per salvare vite umane quando le cose vanno male.
La collaborazione internazionale che ha reso possibile questa ricerca – coinvolgendo clinici, ricercatori medici, ingegneri e agenzie spaziali francesi – dimostra che affrontare le sfide della medicina spaziale richiede un approccio multidisciplinare e cooperativo.
Come conclude Reynette: “Speriamo che i nostri risultati vengano incorporati nelle prossime linee guida per il trattamento dell’arresto cardiaco nello spazio.” Una speranza che potrebbe letteralmente significare la differenza tra la vita e la morte per i futuri esploratori dello spazio.