“Mangiare meno grassi fa dimagrire”: il mito da sfatare

 

I grassi non sono nemici della linea, anzi possono essere alleati preziosi per la salute. Ecco cosa dice l’esperto nutrizionale.

Milano, 15 maggio 2025 – È una convinzione tanto diffusa quanto errata: ridurre il consumo di grassi equivale a perdere peso. Un’equazione apparentemente logica che però non tiene conto della complessità del nostro organismo. A fare chiarezza su uno dei miti alimentari più persistenti è Paolo Bianchini, consulente nutrizionale e nutraceutico di Salò e ideatore del “Metodo Bianchini”.

Il paradosso dei grassi

“Va smentito il luogo comune che il grasso ingrassa”, afferma categoricamente Bianchini. “Questo accade solo quando la quota lipidica è eccessiva rispetto agli altri componenti nel pasto e se si associano grassi diversi insieme”. Secondo l’esperto, l’idea di ridurre drasticamente i grassi nella dieta per favorire il dimagrimento è non solo inefficace, ma potenzialmente dannosa.

“Si pensa impunemente che in un regime alimentare dietetico riducendo la quota di grassi l’organismo possa attingere dalla riserva lipidica con una riduzione del peso corporeo”, spiega Bianchini. “In realtà i grassi in deposito sono qualitativamente poveri e il fisico ha bisogno di diverse categorie di lipidi”.

Il nutrizionista mette inoltre in guardia sui rischi di diete drasticamente povere di grassi: “Liberando velocemente il pannicolo adiposo vengono sprigionate tossine, metalli pesanti, metaboliti ormonali che possono danneggiare organi vitali. Non è raro riscontrare in diete drastiche alterazioni dell’equilibrio psichico e neuroendocrino”.

Quanti grassi assumere e quali preferire

Contrariamente a quanto si potrebbe pensare, Bianchini suggerisce di assumere “anche fino al 35-40% di grassi” nella dieta quotidiana. Ma quali alimenti privilegiare? “Carne rossa, uova, formaggi e latticini a latte intero, panna, burro, olio di cocco e avocado. Questi sono i cibi che dovrebbero costituire la base della dieta”, afferma.

L’esperto consiglia di limitare invece il consumo di pollo e maiale “per via dell’alta percentuale di grassi polinsaturi”, a meno che non si tratti di animali allevati al brado, mentre il pesce grasso andrebbe consumato “una volta la settimana per qualche grammo di acidi grassi omega-3”.

Tra i grassi animali, quelli ideali sono “tutti quelli della carne di erbivori (vacca, pecora, capra, bufalo) anche sotto forma di sego; burro e ghee/burro chiarificato; tuorlo d’uovo; panna e panna acida e in generale tutti quelli dei formaggi e derivati del latte come yogurt o kefir”.

Per quanto riguarda i grassi vegetali, da preferire sono “olio di cocco e olio di avocado”, mentre l’olio extravergine d’oliva andrebbe usato “esclusivamente a freddo per condire, perché gli acidi grassi monoinsaturi di cui è composto, si ossidano facilmente”.

Attenzione a come si cucinano i grassi

Un capitolo a parte merita la cottura dei grassi. Bianchini avverte che “l’olio di oliva è pur sempre un olio, ricco di grassi insaturi, e questi si ossidano in cottura”. Particolarmente dannoso sarebbe cuocere verdure contenenti zolfo (come aglio, cipolla, broccoli) in olio, poiché questo processo “crea grassi trans che sono di gran lunga i peggiori per la salute”.

“Farsi un soffritto equivale a mangiare grassi trans come quelli nei cibi altamente processati, grassi che sono causa di malattie cardiovascolari in generale, ed aterosclerosi in particolare”, precisa l’esperto.

Il ruolo essenziale dei lipidi

I lipidi, sottolinea Bianchini, “costituiscono uno dei componenti fondamentali di tutte le membrane biologiche, precursori dei più importanti ormoni, una loro parte indispensabile per il trofismo del tessuto nervoso e sono riserva energetica nelle carenze nutrizionali prolungate”.

Particolarmente importante sarebbe l’acido pentadecanoico (C15), “fortemente diminuito negli ultimi 50 anni” e presente in “burro, panna, formaggi grassi, carne di ogni tipo, ed alcuni pesci”. Questo acido grasso “è indispensabile per importanti funzioni legate alla salute in generale e alla longevità in particolare, a partire da effetti antiinfiammatori, antitumorali, di regolazione delle risposte immunitarie e dell’autofagia. Ma soprattutto, serve a mantenere robusta la struttura delle cellule”.

Le differenze tra i vari tipi di grassi

Bianchini spiega che i grassi si comportano diversamente a seconda della loro struttura chimica. “I grassi saturi hanno legami ‘completi’, motivo per cui sono molto stabili e resistono bene al calore, non si ossidano facilmente e non irrancidiscono”. Al contrario, quelli monoinsaturi e polinsaturi “hanno dei legami ‘liberi’ a cui può attaccarsi l’ossigeno”, rendendo questi grassi molto più instabili, “soprattutto se viene esposto al calore o alla luce”.

I grassi polinsaturi, presenti per esempio negli oli di semi, “sono i più fragili. Si ossidano facilmente e, ossidati o meno, sembrano causare danni anche a livello metabolico”.

“La scienza sta puntando sempre di più il dito contro gli acidi grassi insaturi, soprattutto i polinsaturi, per il loro ruolo in condizioni come la sindrome metabolica e alcune patologie intestinali, compresi alcuni tumori”, conclude Bianchini, che raccomanda di evitare i grassi polinsaturi (oli di semi e di legumi) e di usare con parsimonia quelli monoinsaturi (olio EVO), conservandoli “al fresco e al buio” per prevenirne l’ossidazione.